Diabete

Il diabete è una malattia che è dovuta a un’alterazione del metabolismo provocata da una riduzione dell’attività dell’insulina: tale ormone può essere disponibile in misura inferiore rispetto alla norma, oppure può succedere che la sua azione venga ostacolata; in alcuni casi, la patologia insorge per entrambi i motivi.

L’iperglicemia rappresenta una caratteristica costante nei soggetti che soffrono di diabete, i quali con il trascorrere degli anni devono fare i conti anche con altre complicanze dei vasi sanguigni, tra cui la microangiopatia, che consiste nell’alterazione della circolazione dei piccoli vasi arteriosi.

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Cos’è il diabete

Anche se viene indicato come una malattia, il diabete non è una patologia vera e propria: è più corretto, invece, considerarlo come un insieme di sindromi croniche che sono determinate da un funzionamento non adeguato delle cellule del pancreas che si devono occupare della produzione di insulina o da un incremento, da parte dei tessuti epatici, dei tessuti adiposi e dei tessuti muscolari, della resistenza all’insulina. Il diabete è diffuso soprattutto nei Paesi occidentali, dato che qui la sua insorgenza è favorita da fattori di rischio diffusi come la sedentarietà e l’obesità. Si distinguono varie tipologie di diabete:

  • il diabete spontaneo, noto anche come diabete primario, il quale si differenzia a sua volta in diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2;
  • il diabete secondario, che è il risultato di malattie del pancreas o può derivare da trattamenti farmacologici molto intensi che presuppongono il ricorso a glicocorticoidi;
  • il diabete gravidico.

Diabete di Tipo 1

diabete tipo 1 tipo 2

Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che comporta la distruzione delle cellule beta del pancreas: in Italia è diffuso in modo particolare in Sardegna. Più o meno nel 50% dei casi la patologia si manifesta prima del compimento dei 20 anni, soprattutto durante la pubertà: ecco perché in passato vi si faceva riferimento parlando di diabete giovanile.

A determinare il diabete di tipo 1 è la combinazione tra l’immunologia, l’ambiente e la genetica: in altri termini, sulla predisposizione genetica di base si inserisce lo stimolo immunologico, che fa sì che le cellule beta vengano distrutte nel corso del tempo. La malattia si concretizza nel momento in cui le cellule beta perse corrispondono all’80% del totale. Si ritiene che i fattori ambientali possano avere un ruolo importante: il riferimento e a virus e composti della nitrosourea.

Diabete di Tipo 2

Il diabete di tipo 2, noto anche come diabete dell’adulto o diabete mellito non insulino-dipendente, è una patologia metabolica che presuppone insulino-deficienza relativa e insulino-resistenza con glicemia alta; la differenza rispetto al diabete di tipo 1 è che in quest’ultimo caso la mancanza di insulina è dovuta alla distruzione delle Isole di Langerhans.

Di tutte le persone che soffrono di diabete, quello di tipo 2 rappresenta nove casi su dieci: la causa più frequente è da individuare nell’obesità per i soggetti che sono predisposti dal punto di vista genetico a questa patologia.

Il trattamento iniziale del diabete di tipo 2 presuppone un incremento dell’attività fisica e un intervento sul regime alimentare che viene seguito dalla persona.

La somministrazione di farmaci diventa indispensabile solo nel caso in cui il soggetto faccia comunque fatica a tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue (magari perché si concede diversi strappi alla regola a tavola): il ricorso all’insulina può essere alternativo all’impiego di metformina.

A causare il diabete di tipo 2 è un mix di fattori: la componente genetica da un lato e lo stile di vita dall’altro. Oltre a ciò, la presenza di endocrinopatie può costituire un ulteriore elemento di rischio. Allo sviluppo della patologia sono associati anche l’invecchiamento e la mancanza di sonno, che hanno effetti dal punto di vista del metabolismo.

Per ciò che concerne lo stile di vita, al di là dell’obesità entrano in gioco anche variabili come un regime alimentare non adeguato, la carenza o la totale assenza di attività fisica, l’urbanizzazione e lo stress. Il consumo esagerato di zucchero, magari per colpa dell’assunzione di troppe bevande zuccherate, può avere un ruolo nello sviluppo di questa forma di diabete, al pari dei grassi saturi e degli acidi grassi trans. Non tutti i grassi, comunque, devono essere demonizzati: i grassi monoinsaturi e i grassi polinsaturi, per esempio, riducono il rischio di comparsa del diabete di tipo 2.

La predisposizione può dipendere anche da alcuni farmaci, tra i quali le statine, gli antipsicotici atipici, i beta bloccanti, i tiazidici e i glucocorticoidi. Allo sviluppo della patologia possono essere correlati anche problemi di salute come l’ipertiroidismo, la sindrome di Cushing e l’acromegalia.

Dal punto di vista della patogenesi, il diabete di tipo 2 dipende sia dall’insulino-resistenza che da una produzione non sufficiente di insulina da parte delle cellule beta del pancreas. Se di norma l’insulina sopprime il rilascio di glucosio nel fegato, nel momento in cui le cellule sono poco sensibili all’azione dell’insulina (la cosiddetta insulino-resistenza, appunto) il glucosio viene rilasciato nel sangue dal fegato (un fenomeno che in condizioni normali non si dovrebbe verificare). La malattia è tanto più grave quanto più elevato è il numero di cellule beta che non funzionano.
In un primo momento l’organismo è in grado di tenere la glicemia sotto controllo, reagendo all’insulino-resistenza, determinando un incremento della sintesi di insulina; tuttavia, con il trascorrere del tempo tale meccanismo viene meno, così che si verifica una riduzione della sintesi insulinica.

Anche la mancanza di incretine è associata al diabete di tipo 2, così come la riparazione dei lipidi nelle cellule adipose superiore alla norma e la presenza di alti livelli di ormoni come l’adrenalina, i mineralcorticoidi e il glucagone, che inibiscono l’azione dell’insulina.

Altri tipi

Il diabete gravidico, noto anche come diabete gestazionale, è un disordine del metabolismo che presuppone una limitazione della tolleranza al glucosio: esso viene diagnosticato o insorge per la prima volta in occasione di una gravidanza.

Ciò vuol dire che si può parlare di diabete gravidico anche nel caso in cui l’intolleranza glucidica sia già presente nella donna prima che rimanga incinta, ma sia aggravata e si palesi proprio in corrispondenza dello stress gravidico.

In effetti, nel corso di una gravidanza si verificano nel corpo della donna degli sconvolgimenti a livello ormonale che sono in grado di causare un incremento della resistenza all’insulina: in pratica, le cellule si dimostrano meno sensibili del solito rispetto all’azione dell’insulina stessa.

Questo deficit, per di più, non viene compensato dal pancreas, il quale non riesce ad aumentare l’insulina sintetizzata. Ecco perché si può definire il diabete gravidico come un fenomeno fisiologico, che di norma non implica pericoli né per il nascituro né per la futura mamma.

Proprio per questo motivo, la sintomatologia è molto spesso assente: al massimo si possono riscontrare i segni caratteristici dell’iperglicemia, con infezioni urinarie, poliuria (incremento dell’orinazione), polidipsia (incremento della sete), visione offuscata, vomito e nausea.

Fattori di rischio, complicanze, monitoraggio

I fattori di rischio relativi al diabete di tipo 1 sono ancora solo ipotizzabili.

Per quanto riguarda il diabete mellito tipo 2 i fattori di rischio sono:

  • familiarità della malattia all’interno dei parenti più prossimi – genitori, sorelle, fratelli;
  • il sovrappeso, obesità;
  • alimentazione scorretta;
  • l’ipertensione arteriosa;
  • valori alti di colesterolo e trigliceridi nel sangue;
  • stile di vita sedentario;
  • diabete gravico
  • parto con peso del nascituro superiore ai 4 kg.

La comparsa delle complicanze croniche del diabete e la loro progressione possono essere prevenute e rallentate tenendo sotto controllo i diversi fattori di rischio che sono correlati: al fine di ostacolare l’insorgenza di complicanze, pertanto, è opportuno monitorare il metabolismo.

Diverse ricerche hanno dimostrato il ruolo di un controllo metabolico adeguato, ma anche del controllo della pressione del sangue, visto che nelle persone che soffrono di diabete si riscontra un incremento della probabilità di patologie cardiovascolari: tra i fattori di rischio ci sono proprio i livelli di pressione più alti della norma.

Il monitoraggio deve riguardare quelli che vengono definiti organi bersaglio e cioè gli arti inferiori, i reni e gli occhi, proprio perché le complicanze vascolari sono molto frequenti. Insomma, chi ha il diabete è tenuto – anche se non manifesta sintomi evidenti – a sottoporsi a visite di controllo periodiche.

L’elenco dei fattori di rischio include il fumo e uno stile di vita sedentario, ma anche un regime alimentare scorretto (i fritti, i grassi e i cibi molto conditi sono pericolosi) e un consumo eccessivo di tè e di caffè: la caffeina, infatti, limita in maniera significativa l’azione dell’insulina e può sollecitare la comparsa della patologia anche perché favorisce un incremento degli acidi grassi in circolo.

Sintomi

Per quel che riguarda i sintomi del diabete di tipo 1, questi sono rappresentati soprattutto da un aumento della sete e del desiderio di introdurre liquidi, che si traduce in un incremento della quantità di urine che vengono espulse nel corso delle 24 ore.

Si può riscontrare, inoltre, la cosiddetta polifagia e cioè un’esaltazione dell’appetito che si concretizza in una crescita della fame e della quantità di alimenti che vengono consumati: ciò, tuttavia, non comporta un aumento ponderale, ma anzi una perdita di peso.

A volte i primi sintomi riscontrati per questa forma di diabete corrispondono a quelli della chetoacidosi, che implica un aumento nelle urine e nel sangue dei corpi chetonici.

Per quel che riguarda i sintomi del diabete di tipo 2, questi sono legati ai disturbi della circolazione tipici dell’aterosclerosi, che è più precoce e più intensa rispetto alla norma.

Per quel che riguarda i sintomi del diabete gestazionale, infine, si segnalano nausee, visione offuscata e infezioni urinarie.

Diagnosi precoce

La diagnosi precoce del diabete è molto importante per fare sì che possa essere attuato un piano di controllo adeguato della malattia, che consenta – tra l’altro – di prevenire le complicanze sul lungo periodo: sono proprio queste, infatti, a costituire il pericolo concreto connesso al diabete.

Per una diagnosi precoce è importante tenere la glicemia sotto controllo, anche quando si è giovani, senza aspettare di arrivare ai 40 anni: tale precauzione deve essere adottata in modo particolare da parte degli obesi, o comunque dei soggetti in sovrappeso, ma anche da coloro che hanno a che fare con l’ipertensione, da chi segue un regime alimentare poco equilibrato, da chi ha uno stile di vita molto sedentario e da chi consuma superalcolici, zuccheri e grassi in grandi quantità.

Nel caso in cui il medico di base sospetti la presenza di diabete, vengono prescritti un esame delle urine e un esame del sangue, da effettuare a digiuno, che hanno lo scopo di verificare il livello di glucosio (nelle urine e nel sangue, appunto). Il risultato che si ottiene con i reflettometri dal sangue capillare non è da considerare attendibile: meglio affidarsi a un prelievo venoso.

L’esame delle urine da solo non è sufficiente per una diagnosi completa, dal momento che non esiste una correlazione precisa tra la presenza di glucosio nel sangue – la glicemia – e la presenza di glucosio nelle urine – la glicosuria.

A volte, il risultato che si ricava dall’esame delle urine può essere ritenuto non attendibile, soprattutto se il soggetto soffre di malattie renali. Insomma, una diagnosi sicura può derivare unicamente da un esame del sangue a digiuno: nel caso in cui in almeno due occasioni differenti il valore della glicemia sia uguale o superiore ai 126 mg al dl si può parlare di diabete.

Non è detto, comunque, che in un paziente con il diabete la glicemia superi sempre quel valore: per togliere ogni dubbio si può optare per un test da carico orale di glucosio, utile a far sì che la condizione di diabete si slatentizzi.

Così, se il test da carico di glucosio fa segnare valori normali di glicemia si può essere quasi certi dell’assenza del diabete, mentre se fa segnare valori più elevati della norma può essere necessario sottoporsi a un monitoraggio, cioè a un controllo periodico, della glicemia, con un test da carico da glucosio da eseguire una volta all’anno (o un po’ meno frequentemente se il grado di rischio non è molto alto).

Correlazione insulina e diabete

Il ruolo dell’insulina consiste nel favorire l’ingresso del glucosio, cioè dello zucchero, all’interno delle cellule. Nel caso in cui ciò non avvenga, il glucosio resta nel circolo sanguigno: ecco perché il livello di glicemia si alza. In più, in tale eventualità le cellule perdono la fonte più importante di energia. Questo permette di capire facilmente il motivo per il quale in assenza di insulina l’organismo non è in grado di sopravvivere.

Il pancreas di solito non produce in modo costante l’insulina, la quale – invece – viene sintetizzata in quantità diverse a seconda dei pasti. Per esempio, nel caso di un periodo di digiuno breve, i valori della produzione di insulina non cambiano e non conoscono picchi: è ciò che avviene durante il sonno, quando ovviamente si rimane senza mangiare per diverse ore di seguito. Il calo di glicemia che ne consegue fa sì che le cellule alfa del pancreas siano stimolate a produrre un ormone, il glucagone, per effetto del quale il glicogeno viene convertito in glucosio e quest’ultimo viene liberato nel circolo sanguigno. A quel punto il cervello riceve un segnale: il soggetto inizia ad avere fame.

In seguito a un pasto molto abbondante, specialmente se è stato ricco di carboidrati, la situazione cambia: il pancreas libera l’insulina in maniera veloce con l’aumentare della glicemia e si verifica quello che si definisce picco insulinemico post-prandiale. Lo scopo è quello di fare in modo che la concentrazione di glucosio sia riportata a valori standard.

Quanto più zucchero è stato consumato, tanto più elevato è il picco: un ruolo importante è anche quello della velocità di assorbimento degli zuccheri, che corrisponde al carico glicemico. Il picco di insulina, ad ogni modo, può essere limitato con il consumo di fibra alimentare, la quale ostacola l’assimilazione dei nutrienti da parte dell’intestino. Dopo che il fabbisogno di energia delle cellule è stato soddisfatto, l’aumento di insulina fa in modo che il glucosio in eccesso venga convertito in glicogeno, il quale va a depositarsi nei muscoli e nel fegato. La secrezione di insulina diminuisce in una situazione normale di riposo, cioè quando cala anche la glicemia e torna a valori paragonabili a quelli riscontrati nel momento del digiuno.

Stile di vita: alimentazione, movimento, fumo, riposo

Linee guida

Lo stile di vita è molto importante nella cura del diabete ma soprattutto per la sua prevenzione: tanto più si conduce una vita sana e quanto più è basso il rischio di ammalarsi. Ciò è vero in modo particolare per il diabete di tipo 2: sono numerose le ricerche cliniche di prevenzione che hanno messo in evidenza l’importanza di rispettare e di adottare comportamenti corretti nella vita di tutti i giorni per fare in modo che non si verifichi il passaggio dal prediabete al diabete. I due punti principali sono rappresentati dallo svolgimento regolare di attività fisica e da un regime alimentare equilibrato.

Alla base della comparsa del diabete ci sono fattori genetici che sono il frutto dell’adattamento dell’uomo ad ambienti in cui il cibo era carente e per procurarsi da mangiare era necessario uno sforzo fisico notevole: una situazione che si è protratta per millenni e che è evidentemente l’opposto dello stile di vita che caratterizza la società occidentale del mondo moderno, in cui l’attività fisica è carente, mentre l’introduzione di calorie è decisamente superiore al dovuto. Ecco perché è indispensabile modificare il proprio stile di vita: un cambiamento che non deve essere momentaneo ma permanente, tale da far sì che ogni forma di regolazione del metabolismo del glucosio non corretta possa essere prevenuta o curata.

La progressione dal prediabete al diabete, in particolare, può essere prevenuta in più della metà dei casi in seguito a un trattamento tra i tre e i sei anni: così facendo, si può far diminuire anche la probabilità di complicanze a livello vascolare. Gli interventi che devono essere adottati sono di tipo comportamentale, di tipo motorio e di tipo nutrizionale: ovviamente l’impegno è consistente, ma di certo vale la pena sostenerlo se si pensa a quanto potrebbe essere faticoso curare il diabete.

La tavola – alimentazione

Per la terapia del diabete è necessario intervenire su ciò che si mangia: la dieta per un diabetico deve avere l’obiettivo di tenere sotto controllo non solo la lipidemia, ma anche il peso corporeo e la glicemia; in più, deve consentire di prevenire e di trattare tutti i fattori di rischio che sono correlati alla nutrizione.

Nel caso di chi soffre di diabete di tipo 1, l’attenzione deve essere concentrata sul consumo di carboidrati: in particolare, deve essere limitata l’assunzione di carboidrati semplici, mentre l’apporto di carboidrati complessi deve essere regolare. Così facendo, si prova a limitare le unità di farmaco e a fare sì che il quadro glicemico si normalizzi.

Nel corso della giornata, i carboidrati devono fornire non più del 50% del totale delle calorie assunte. Ovviamente devono essere privilegiati i carboidrati che si caratterizzano per un indice glicemico ridotto, specialmente se abbinati a fibre; la percentuale di zuccheri semplici deve essere mantenuta sotto il 10%, sia che si tratti di monosaccaridi, quali il glucosio e il fruttosio, sia che si tratti di disaccaridi, quali il lattosio e il saccarosio. Quest’ultimo, che non è altro che lo zucchero da cucina tradizionale, deve sempre rimanere al di sotto del 5% delle calorie complessive, il che significa che non si potrebbero superare i 20 grammi al giorno. Il limite è impegnativo, soprattutto se si pensa alla quantità di alimenti che contengono il saccarosio, come i biscotti, gli snack, i dolci e le bibite. Ogni volta che se ne ha la possibilità, poi, lo zucchero dovrebbe essere sostituito con dolcificanti senza valore nutritivo.

Se i carboidrati devono essere associati alle fibre, in modo tale che l’indice glicemico possa essere ridotto (è per questo motivo che la farina raffinata deve essere messa da parte a favore della farina integrale), non bisogna dimenticare di consumare molta acqua, anche attraverso gli alimenti: a tal proposito, la frutta fresca è decisamente da preferire rispetto alla frutta disidratata, anche perché spesso quest’ultima è ricca di zuccheri aggiunti. L’indice glicemico, inoltre, può essere abbassato anche grazie alle proteine e ai grassi.

Tra gli alimenti da evitare, oltre al già menzionato zucchero, rientrano tutti i prodotti dolciari raffinati che presentano un contenuto lipidico e glucidico molto elevato, come le merendine, le paste, gli snack, i biscotti, i cornetti e i dolci pre-confezionati. Dovrebbe essere contenuto anche il consumo della marmellata, del miele e del cioccolato.

Per i primi piatti, più semplici sono e meglio è: il riso e la pasta dovrebbero essere sempre integrali. Gli abbinamenti raccomandati per i condimenti sono quelli con le verdure, con il tonno e con il pomodoro, mentre sono da mettere al bando tutti i primi troppo elaborati e ricchi di condimenti grassi, come i risotti, i cannelloni, i tortellini o le lasagne. Anche se si mangia riso o pasta integrale, ad ogni modo, non bisogna mai eccedere con le dosi.

Se i carboidrati devono essere limitati, ecco che non si dovrebbero consumare le pizze elaborate e tutti quei sostituti del pane salati o con grassi aggiunti, come le focacce, i panini all’olio, i grissini o i cracker. Sarebbe opportuno, poi, non consumare due alimenti amidacei insieme all’interno dello stesso pasto: no, dunque, alla pasta e al pane insieme, o al sushi e alla pizza insieme.

Attenzione anche alla frutta secca: il consumo di pinoli, di datteri, di mandorle, di castagne, di arachidi e di noci è sconsigliato, così come l’assunzione di mandarini, di frutta sciroppata, di avocado, di uva, di banane, di melograno, di cachi o di fichi. In generale si dovrebbe prestare attenzione alle bevande zuccherate e quindi anche ai succhi di frutta, prediligendo quelle light e quelle non zuccherate.

Nel caso di chi soffre di diabete di tipo 1, invece, lo scopo principale deve essere quello di favorire un abbassamento del peso corporeo.

Movimento

Il movimento e l’attività fisica sono consigliati a chi soffre di diabete, ma non solo: essi, insomma, permettono di tenere sotto controllo la malattia e al tempo stesso di prevenirla. Ciò avviene perché il fabbisogno quotidiano di insulina viene ridotto, così che il corpo viene messo nelle condizioni di controllare la glicemia. Il movimento, in più, aiuta a non ingrassare e limita le probabilità che si verifichino delle complicazioni.

Ma cosa deve fare in concreto un soggetto diabetico? Tutte le volte che può, preferire la bicicletta alla macchina o ai mezzi pubblici; per esempio, si può andare a fare la spesa a piedi. Anche attività in apparenza banali possono avere un valore importante: bisogna dire addio all’ascensore e iniziare a fare sempre le scale. Tra gli sport che possono essere considerati degli hobby e che quindi sono fonte di piacere, si segnalano l’equitazione, il golf e le camminate veloci. Vi sono, poi, delle altre attività che possono essere effettuate solo dietro controllo medico, dal momento che presuppongono un impegno molto consistente per il fisico: è il caso del ciclismo, del calcetto, del tennis, dello squash e della corsa. In qualsiasi caso, è sempre preferibile farsi seguire da uno specialista, per evitare attività troppo intense e non adeguate al proprio organismo.

Fumo

Dal punto di vista del diabete, è bene sapere che il fumo di sigaretta non condiziona la possibilità di mantenere i valori di glicemia corretti: ciò non toglie che il fumo possa comunque essere dannoso, sia perché favorisce il carcinoma polmonare e la bronchite cronica in ogni persona, sia perché costituisce un fattore di rischio in relazione ai processi degenerativi dei vasi sanguigni. Una persona che ha il diabete, dunque, deve agire in modo da limitare gli altri fattori di rischio cardiovascolare e cioè lo stress fisico e psicologico, l’eccesso di grassi nel sangue, l’obesità, l’ipertensione arteriosa o la vita sedentaria.

Il fumo, sia esso attivo o passivo, può aumentare il rischio di ammalarsi del diabete di tipo 2: un rischio che, per altro, cresce in maniera esponenziale con l’incremento della quantità di sigarette che vengono fumate. Secondo uno studio che è stato pubblicato su Lancet Diabetes & Endocrinology, per i fumatori leggeri il rischio aumenta del 21%, per i fumatori moderati del 34% e per i fumatori forti del 57%, tenendo presente che questi ultimi sono coloro che fumano più di 25 sigarette ogni giorno. L’aumento del rischio di diabete è pari al 22%, invece, per le persone che vivono con fumatori, pur non fumando.

Riposo

Anche il riposo e il sonno hanno un ruolo importante nella prevenzione e nella cura del diabete: a differenza di quel che si potrebbe essere portati a immaginare, per altro, a essere dannoso non è solo un sonno insufficiente, ma anche un eccesso di sonno. In altri termini, il rischio di ammalarsi di diabete cresce sia nel caso in cui si dorma meno del dovuto, sia nel caso in cui si dorma più del dovuto. Le persone che hanno un sonno non regolare, infatti, riescono a usare l’insulina meno di chi dorme in media sette ore a notte. Coloro che dormono troppo o troppo poco presentano una concentrazione di zuccheri nel sangue più elevata della media.

Insomma, anche per i soggetti sani un sonno non adeguato può essere pericoloso dal punto di vista del metabolismo del glucosio. L’ipersonnia, che consiste nel dormire fino a dodici ore a notte, può determinare numerosi problemi dal punto di vista della salute. Il sonno è un elemento imprescindibile per la conservazione di un metabolismo corporeo corretto: nel momento in cui esso viene disturbato, o comunque è carente o eccessivo, l’equilibrio dell’organismo viene meno. L’apnea è uno dei disturbi del sonno che meritano di essere affrontati per migliorare la salute metabolica delle persone.

Esiste, in sintesi, una connessione diretta tra la capacità dell’organismo di metabolizzare il glucosio e la perdita di sonno, la quale può avere effetti anche sul mantenimento dell’equilibrio energetico e sulla capacità di tenere sotto controllo il consumo di cibo. Quando il corpo non è ben riposato ha la stessa reazione che si verifica con il fenomeno della resistenza all’insulina: le cellule non impiegano come dovrebbero tale ormone e la glicemia aumenta. Per contrastare l’eccesso di glucosio, i reni lavorano stimolando l’urina, ed è questa la ragione per la quale si è costretti ad andare in bagno di frequente. Se ciò accade di notte, però, è chiaro che il sonno viene interrotto. Insomma, con una glicemia troppo bassa o con una glicemia troppo alta non si riesce a dormire bene: si innesca un circolo vizioso per il quale, di giorno, ci si sente stanchi e affaticati e – di conseguenza – per ritrovare le energie si assumono zuccheri, i quali finiscono per aumentare ancora di più i livelli di glucosio nel sangue… e così via. Non si può dire, comunque, se sia il diabete a determinare i disturbi del sonno o il contrario.

Diabete e gravidanza

Le donne che soffrono di diabete possono affrontare una gravidanza senza preoccupazioni: la malattia, infatti, non impedisce in alcun modo di avere figli né rappresenta un ostacolo rispetto alla fertilità o a un eventuale concepimento, sempre che la patologia sia tenuta sotto controllo. Nel corso della gravidanza, in particolare, è molto importante monitorare il livello di glucosio nel sangue, dal momento che in presenza di valori della glicemia piuttosto alti si corre il pericolo di andare incontro a diverse complicazioni, che possono riguardare sia la salute della madre che quella del feto: si può trattare di semplici infezioni urinarie o, nei casi più gravi, di malformazioni del feto, di aborto, di morte del feto nel terzo trimestre (la cosiddetta morte tardica) o di macrosomia, vale a dire uno sviluppo eccessivo del feto.

Anche il parto pretermine è un’eventualità da non sottovalutare. Una ricerca presentata nel settembre del 2017 in occasione del congresso della Società Europea di Diabetologia, in ogni caso, ha dimostrato che il figlio di una mamma già diabetica prima del concepimento è che ha sviluppato il diabete durante la gravidanza può andare incontro a diversi rischi, tra i quali si segnalano disturbi della respirazione, malformazioni a livello cardiaco, ittero, ipoglicemia, peso molto più alto della norma o molto più basso della norma alla nascita.

Lo studio, che è stato eseguito da un team di studiosi italiani a capo del quale c’era Basilio Pintaudi, diabetologo dell’Ospedale Niguarda di Milano, ha riscontrato anche un rischio più elevato di parto cesareo. Vale la pena di sottolineare che si parla solo di probabilità più alte rispetto alla media e non di certezze: non è detto, insomma, che il figlia di una mamma diabetica di sicuro avrà uno o più di questi problemi. Lo studio ha preso in esame i dati riguardanti più di 135mila gravidanze che si sono verificate tra il 2002 e il 2012 in Puglia: ad essere analizzate sono state le schede di dimissione ospedaliera delle madri e dei loro piccoli, grazie alle quali è stato possibile ricavare informazioni significative tra cui – appunto – l’esistenza di patologie fetali o materne. Nel complesso, 234 donne erano diabetiche prima che il nascituro venisse concepito, mentre sono stati riscontrati 1357 casi di diabete gestazionale. Naturalmente sono state prese in considerazione tutte le variabili in grado di condizionare lo stato di salute dei bambini, come le malattie della tiroide o l’ipertensione. Il risultato della ricerca ha messo in evidenza, come detto, che il diabete costituisce un fattore di rischio che non può essere trascurato in relazione alla salute del neonato.

In caso di diabete gestazionale, per esempio, la probabilità di ipoglicemia nel neonato – cioè di livelli molto bassi di zuccheri nel sangue – è 10 volte più elevata della norma; in caso di diabete preesistente, invece, tale probabilità sale addirittura di 36 volte. Come si può notare, quindi, la malattia rappresenta una condizione pericolosa, almeno a livello potenziale, visto che una carenza eccessiva di zuccheri impedisce lo svolgimento delle funzioni vitali indispensabili nel neonato nelle prime settimane di vita; il rischio è che lo sviluppo cerebrale sia in qualche modo compromesso. Il rimedio a un inconveniente di questo tipo, in ogni caso, è piuttosto semplice, dal momento che è sufficiente procedere alla somministrazione di soluzioni glucosate, con le quali la glicemia può essere innalzata: tale somministrazione può essere effettuata direttamente in terapia intensiva neonatale nelle ore o nei giorni successivi al parto.

Per quel che concerne l’ittero, invece, la probabilità di una sua manifestazione è di quasi due volte maggiore per i casi di diabete gestazionale e di quasi tre volte maggiore per i casi di diabete preesistente. Anche in questo contesto, comunque, non c’è molto di cui preoccuparsi, visto che questa condizione fisiologica alla nascita nella maggior parte dei casi si risolve in maniera naturale e spontanea. Solo in alcune circostanze si può rendere necessario l’impiego della fototerapia.

Per le donne malate di diabete prima del concepimento, il rischio di avere a che fare con un neonato macrosomico – e cioè molto più grande della media – è di quasi otto volte più elevato rispetto alla norma, mentre il rischio di avere a che fare con un neonato molto più piccolo della media è di quasi sei volte più elevato; per le donne con diabete gestazionale, invece, la probabilità è di due volte più alta in tutti e due i casi. Come si può facilmente immaginare, i rischi connessi a un bambino macrosomico possono essere soprattutto di carattere ginecologico – il che vuol dire che si deve ricorrere al taglio cesareo – ma va detto che crescendo il soggetto potrebbe andare incontro, a sua volta, a diabete o ad altri disturbi del metabolismo come l’obesità. Degli squilibri a livello metabolico si possono verificare anche per i bambini molto piccoli, mentre ci possono essere delle alterazioni dello sviluppo psicologico e neurologico se nel sangue della mamma i livelli di chetoni sono più alti del normale.

In conclusione, il diabete in gravidanza non deve far preoccupare, ma solo indurre le future mamme ad agire per provare a prevenire i rischi il più possibile. Nel caso del diabete gestazionale, che si sviluppa nel momento in cui la gravidanza è già cominciata, gli squilibri metabolici non sono in grado di condizionare lo sviluppo del feto: la diagnosi in genere avviene tra la 24esima e la 28esima settimana e per ridurre le possibilità di conseguenze pericolose è sufficiente attuare una dieta adeguata, con un regime alimentare appropriato. Il ricorso all’insulina può essere indispensabile solo in una percentuale di casi decisamente limitata. Nel caso di diabete preesistente, invece, la soluzione migliore sarebbe quella di una gravidanza che giunga nel momento in cui la patologia è già tenuta sotto controllo, con insulina – per il diabete di tipo 1 – o con altri farmaci – per il diabete di tipo 2-: in qualsiasi circostanza, può essere utile una visita preconcezionale in un centro dedicato.

Conclusioni

Il diabete, in conclusione, è una malattia molto diffusa: riconoscerne i sintomi in tempo attraverso una diagnosi precoce permette di evitare le pericolose conseguenze che possono derivare dalla sua presenza. Nel momento in cui un soggetto si vede diagnosticare tale patologia, è chiamato a modificare il proprio stile di vita, intervenendo sia su quel che mangia, sia sull’abitudine di praticare sport o attività fisica in generale.